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La mediazione professionale è...

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Articolo in: - Editoriali  

Dall'Italia e dal mondo

Mariachiara Baldinucci 15/02/2011

La mediazione professionale è... Mariachiara Baldinucci

L'Italia sta attraversando un momento di svolta epocale nell'ambito della riforma della giustizia. Si tratta di una vera e propria rivoluzione del processo civile che, grazie anche all'influenza del legislatore comunitario, porterà il Paese verso un cambiamento la cui portata è di dimensioni gigantesche.

 

Il nostro legislatore, in questo senso, è intervenuto normativamente su di un istituto, quello della mediazione in campo civile e commerciale, istituto che ha sempre fatto parte del nostro ordinamento giuridico e della nostra cultura occidentale (basti pensare agli antichi romani che già conoscevano la mediazione come strumento di risoluzione pacifica delle controversie prima di presentarsi innanzi al pretore) ma che oggi si è ritenuto di dover sottoporre ad una radicale trasformazione tramite il d. lgs. n. 28 del 4 marzo 2010.

Più precisamente, il legislatore italiano ha voluto concentrare la sua attenzione sulla necessità di individuare tutta una serie di materie in ambito civile e commerciale per le quali ha pensato quanto fosse importante introdurre l'obbligatorietà della mediazione, intendendo per obbligatorietà, il necessario e preliminare passaggio dal mediatore prima di improntare una causa innanzi ad un Tribunale.
Ne consegue che, per una grande fetta di procedimenti, anche già in corso di causa, sarà necessario esperire un tentativo di conciliazione che andrà ad alleggerire indubbiamente il carico di controversie che affluiscono alle aule dei Tribunali, snellendo così l'intera attività giurisdizionale, liberandola da macchinose lungaggini burocratiche, considerate le principali responsabili di un sempre più frequente intoppo del processo civile.
Ma se da una parte il legislatore è riuscito ad ottenere un risultato importante in tal senso, dall'altra l'obiettivo che si vuole raggiungere è quello ridefinire il vecchio concetto di mediazione e di conflitto, ridisegnando uno scenario che presuppone un cambiamento di mentalità. Il che significa che la nuova mediazione (che non ha nulla a che vedere con il vecchio concetto di contratto sancito dall'art. 1754 c.c.) obbliga necessariamente la società ad una radicale metamorfosi che presuppone a sua volta uno stravolgimento del modello di competizione: essa non deve più essere intesa come un mero scontro da cui deve obbligatoriamente uscire il più forte. Se ragioniamo con i parametri del diritto, il conflitto non è altro che un evento della vita di due persone che le porterà alla divisione, rompendo i rapporti e designando inevitabilmente chi ha torto e chi ha ragione; la mediazione, al contrario, vede nel conflitto un qualcosa di positivo che unisce le parti configgenti e dal quale possono scaturire soltanto vincitori.
Nel mondo del diritto le controversie devono essere gestite solo ed esclusivamente attraverso la rigida applicazione di una legge il cui compito è quello di porre nelle mani di un giudice (soggetto superiore)la soluzione di un conflitto che si concretizza in una sentenza, dalla quale si evincono due distinte ed opposte posizioni: il vincente ed il perdente, chi ha ragione, in quanto titolare di un diritto tutelato dall'ordinamento giuridico, e chi ha torto in quanto responsabile di un atteggiamento che è andato a ledere tale diritto.
Il provvedimento del giudice, che contiene la decisione in grado di dare una soluzione alla controversia, quindi, è il risultato finale di uno scontro di posizioni poste giuridicamente su livelli opposti, sancendo una sanzione in capo a chi ha torto. Questa sanzione viene percepita dalla nostra cultura come una punizione che inevitabilmente comporta lo sgretolamento definitivo di un rapporto il quale, a prescindere dalla sua natura, avrebbe potuto trovare molteplici strade di riappacificazione. E queste strade rappresentano l'obiettivo essenziale di una mediazione finalizzata alla conciliazione, una mediazione che punta sull'importanza del dialogo tra chi, pur trovandosi al centro di una controversia, accetta di affrontare il conflitto distaccandosi da esso e dal problema che lo ha generato, per confrontarsi l'un l'altro, capire i reciproci bisogni e accettarne le emozioni. All'interno di questa relazione il mediatore ha un ruolo fondamentale in quanto, pur mantenendo una perfetta neutralità ed imparzialità, ha una grande responsabilità e cioè quella di aiutare le parti a conoscersi e capirsi, trasformando il conflitto in un rapporto basato sull'armonia e sulla percezione dei bisogni reciproci che costituiranno la base di un possibile accordo in grado di soddisfare entrambe. È un lavoro intenso, che presuppone una grande capacità, da parte del mediatore, di applicare le tecniche di comunicazione più efficaci.
Ma se questa mediazione trasformativa (perché in grado di trasformare la natura del rapporto personale da conflittuale a collaborativo)è tra le procedure più efficaci per il raggiungimento del fine ultimo che è la conciliazione, altrettanto efficace è la mediazione facilitativa e quella valutativa: la prima, agisce in un contesto di neutralità assoluta in quanto il mediatore ha il compito di mettere a disposizione delle parti le tecniche che facilitano quella comunicazione così importante perché finalizzata allo sviluppo di una soluzione che può provenire solo da loro; la seconda, invece, presuppone un ruolo molto più proattivo in quanto il mediatore non si limita a guidare il conflitto dall'esterno, accompagnando i configgenti verso la soluzione conciliativa, ma valuta l'intera situazione per poi avanzare una proposta risolutiva che gli stessi potranno poi decidere di accettare piuttosto che rifiutare.
Insomma, sia che il mediatore opti per una mediazione valutativa, sia che opti per quella facilitativa, piuttosto che trasformativa, il legislatore ha voluto raggiungere un solo obiettivo; convogliare le parti verso quell'accordo amichevole in grado di riunire due persone che, a causa del conflitto, erano oramai convinte che non avrebbero mai più potuto recuperare il rapporto.
Grazie alla mediazione, così come disciplinata dalla nuova normativa, le relazioni che il diritto inevitabilmente interrompe, vengono conservate e mantenute intatte, sicuramente suscitando sorpresa e incredulità nelle parti.

Un bravo mediatore professionista deve credere nelle grandi potenzialità che il legislatore gli ha concesso, e questo perché è lui in prima persona che ha il compito di far capire a chiunque gli si presenta innanzi che da quel conflitto possono solo scaturire situazioni future positive. Il tempo impegnato in un setting di mediazione è solo tempo bene investito, in quanto produttivo di risultati che, se ci si crede veramente, saranno così stupefacenti da rivoluzionare il classico concetto di conflitto cui la nostra società è abituata.
Il mediatore professionista stravolgerà il sistema giudiziario da sempre basato sullo scontro, su relazioni personali da cui devono necessariamente fuoriuscire vincenti e perdenti, su rapporti caratterizzati solo da torti e ragioni; nel momento in cui chi si dedica alla mediazione riuscirà ad infondere nelle persone una nuova mentalità, riusciremo ad estraniarci dal conflitto inteso come evento negativo della vita, a fuoriuscire dal problema, ad allentare la rigidità delle proprie posizioni per incontrarci a metà strada ove i bisogni reciproci, rimasti seppelliti da troppo tempo sotto presunte e/o distorte convinzioni, condurranno verso un cambiamento tanto positivo quanto costruttivo perché in grado di dare vita ad una nuova e più bella società.

Mariachiara Baldinucci

 

 

 

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